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MONTHLY INVESTMENT BRIEF
APRILE 2022
Laurent Denize,
Direttore degli investimenti, ODDO BHF AM
Siamo entrati in un ciclo rialzista per le materie prime […] un fenomeno che a sua volta genera un’inflazione non più congiunturale, ma strutturale.
Siamo chiari, le prospettive sui mercati azionari sono significativamente peggiorate da inizio anno. Oltre alla traiettoria della crescita mondiale, un’inflazione più elevata del previsto ha effetti negativi sulle obbligazioni, è vero, ma potenzialmente anche sulle azioni.
Qual è il rapporto tra inflazione, tasso neutro delle banche centrali e livello delle obbligazioni a 10 anni?
Riprendiamo un po’ la teoria per definire quale potrebbe essere il punto d’equilibrio dei tassi americani a medio termine.
Concettualmente, il rendimento di un titolo di stato a 10 anni deve essere pari alla somma della crescita potenziale e dell’inflazione. Negli USA, la crescita potenziale è dell’ordine del 2%. Se l’inflazione a lungo termine è stimata intorno al 5%, il valore a lungo termine del rendimento del buono del Tesoro americano a 10 anni dovrebbe essere circa del 4%-4,5%. Il decennale americano oggi vale il 2,50%. I conti quindi non tornano. Perché una simile differenza?
L’attivismo delle banche centrali ha grandi responsabilità in questa repressione finanziaria in cui ci troviamo da 10 anni, ma non basta. In questi ultimi anni gli investitori sono stati pronti a pagare caro e a sacrificare rendimento per possedere obbligazioni a lungo termine, trascinando i premi a livelli negativi. In effetti, avere in mano obbligazioni consentiva di prevedere plusvalenze che compensavano la perdita sulle azioni, nei casi di contesto macroeconomico sfavorevole. Inoltre, il calo dei rendimenti obbligazionari (in particolare quelli reali) spingeva le azioni verso picchi in un fenomeno oggi ben noto. Tuttavia, ora che l’inflazione è diventata un rischio macroeconomico concreto, la correlazione tra i rendimenti azionari e quelli obbligazionari potrebbe tornare in negativo.
L’aumento dell’inflazione rischia di spingere i rendimenti obbligazionari al rialzo anche quando le azioni scendono. Lo stimolo a conservare obbligazioni a lungo termine scemerà poiché esse non svolgono più lo stesso ruolo di cuscinetto. Ciò porterà ad un aumento nel premio a breve termine.
La vera domanda è quindi la seguente: quale potrebbe essere il regime inflazionistico nei prossimi anni?
Siamo entrati in un ciclo rialzista per le materie prime. In effetti, i prodotti di base sono risorse reali (alimentari, energia, metalli) ed un accesso insufficiente alle risorse non può essere risolto con un allentamento quantitativo... Si può stampare tutto il denaro del mondo, ma non si possono stampare petrolio o grano.
Mentre i governi applicano misure più o meno mirate per contrastare gli aumenti, a discapito di saldi di bilancio deteriorati, le banche centrali devono vedersela con il doppio obiettivo di arginare l’inflazione, impedendo al contempo la dislocazione del mercato obbligazionario. Quest’incertezza maggiore sulle politiche monetarie, sempre meno coordinate, genera ulteriore volatilità sui tassi di cambio. La necessità di accelerare l’indipendenza energetica, sanitaria e alimentare spingerà i paesi ad accumulare riserve, non più di cambio ma di prodotti di base. Oltre alla sovranità e alla necessaria protezione degli approvvigionamenti, il modello “just-in-time” è superato. Occorrerà ricostituire inventari, fenomeno che a sua volta genera un’inflazione non più congiunturale, ma strutturale.
Nel lungo termine, quindi, la nostra convinzione resta invariata: i tassi a lungo termine sono troppo bassi.
Anche se la tendenza è chiara nel breve termine, il recente movimento e le preoccupazioni sulla crescita esortano a prendere profitti parziali nel breve termine. Difficilmente la Fed rialzerà i tassi tanto quanto previsto dal mercato e dovrebbe mantenere una certa flessibilità. Quindi non dobbiamo commettere errori, rimaniamo venditori, ma a breve termine stiamo riducendo gli importi in gioco dal punto di vista della gestione del rischio. Ricordiamo che il titolo decennale valeva l’1,17% il 31/08/21. Può fare una pausa al 2,50%.
Che impatto avrà un cambiamento nel regime inflazionistico sui mercati azionari?
L’inflazione di per sé non è negativa per le aziende, a condizione che i loro guadagni in termini di produttività superino l’aumento del prezzo unitario della mano d'opera e delle materie prime. Ma un’inflazione troppo forte e troppo repentina è accompagnata spesso da un rallentamento economico. È questa oggi la nostra principale preoccupazione, con il corollario del suo impatto sui fatturati delle imprese e quindi sulla loro performance in borsa.
Le azioni proteggono in parte dall’inflazione ma non sono più un riparo perfetto. Gli indici americani ed europei si scambiano oggi a livelli superiori a quelli registrati prima dell’invasione dell’Ucraina. Secondo i mercati, quindi, la guerra sarebbe una buona notizia (sic).
Non condividiamo questo punto di vista.
Manteniamo la nostra posizione leggermente ribassista e accentuiamo le nostre vendite a questi livelli. Gli investitori ci sembrano troppo compiacenti, non tanto sul rischio ucraino, quanto sulla traiettoria dell’economia mondiale e sulla portata delle conseguenze dello shock inflazionistico.
Come allocare gli attivi in questo contesto?
Pur adottando una posizione più prudente a livello direzionale, occorre anche pensare a rimodellare il proprio portafoglio. Restiamo positivi sul franco svizzero, sul dollaro e approfittiamo inoltre di alcune disfunzioni del mercato.
- Le società scontate hanno visto diminuire sensibilmente il loro beta (sensibilità al mercato) rispetto all’insieme del mercato azionario. Esse offrono un cuscinetto di valorizzazione sostanziale rispetto ai titoli Growth. Riprendiamo ad acquistare titoli Value.
- Dall’altra parte dello spettro, i titoli difensivi con bilanci solidi offrono rapporti rischio/rendimento allettanti.
- Sul piano geografico e seppure con un’estrema volatilità, i titoli cinesi offrono punti d’ingresso notevoli per un’allocation a lungo termine. Le azioni domestiche (A shares) e quelle scambiate a Hong-Kong (H shares) fanno il loro ingresso nei nostri portafogli, a discapito di alcuni titoli europei.
- Torniamo inoltre sul credito IG, considerando che gli spread del credito ripagano meglio oggi il rischio rispetto ad inizio anno, gestendo attivamente la duration. Gli spread sulle obbligazioni high yield non proteggono ancora a sufficienza dal rischio.
La serie di benefici futuri e le indicazioni delle società detteranno sicuramente la nostra allocation nei prossimi mesi. Nell’attesa, preferiamo posizionarci in modo forse troppo prudente, al grido di “TINA” (There Is No Alternative) ». La maga Circe ci ha avvisati, non cederemo al canto delle sirene.